GUARDAMI, GUARDATI.
- ilbugiardinodellarte
- 14 gen 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Ben ritrovati cari lettori,
oggi con grande piacere ed entusiasmo ci ritroviamo e vi ritroviamo, abbiamo avvertito la mancanza dei nostri incontri virtuali, e speriamo sia stato lo stesso per voi. Per darvi il benvenuto questa settimana affronteremo una tematica che speriamo possa suscitare il vostro interesse e stimolare il vostro senso critico al fine di sviluppare una riflessione condivisa. Come siamo solite fare, punteremo ad una riflessione in primo luogo introspettiva orientata però ad una relazione con “l’esterno”, con l’ignoto, con l’altro da sé, che altro non è che un’ulteriore espressione del nostro essere, teso alla continua lotta tra ciò che è e ciò che non è ma che, come tutti sapremo, ontologicamente appartiene allo stesso concetto di “essere”.
Per spiegarci meglio introduciamo il nostro tema settimanale partendo da un oggetto attorno al quale ruoterà l’intero discorso: lo specchio, un oggetto artistico che nel corso della storia dell’arte ha assunto una molteplicità di significati e di ruoli. In molti esempi possibili lo specchio ha assunto una connotazione negativa venendo definito come oggetto diabolico ed associato ai peccati di vanitas e di superbia; ma numerose sono state anche le opere artistiche in cui ha goduto invece di un’accezione positiva venendo associato ad una delle quattro virtù cardinali: la prudentia, in quanto attributo che impone la conoscenza di sé come condizione preliminare per regolare le proprie azioni e per agire dunque in modo virtuoso, pensiamo alla rappresentazione che ne fa Piero Del Pollaiolo nel 1470. Il ruolo dello specchio per numerosi artisti, soprattutto in epoca medievale e rinascimentale (ma anche contemporanea), è stato un ruolo concettuale, attraverso il quale veicolare un messaggio ben individuato, in forma metaforica ed allegorica, ma per molti altri ha assunto anche un ruolo puramente tecnico andando a costituire un escamotage stilistica che mirava alla rappresentazione di ciò che non sarebbe stato altrimenti visibile all’osservatore, cioè ciò che si trovava al di qua della tela, con il ruolo di “rivelare” non solo l’oggetto rappresentato ma anche il soggetto rappresentante o di svelare quanti più particolari e dettagli appartenenti all’intera scena, anche quella retrostante, come nel caso della pittura fiamminga (es. Coniugi Arnolfini, Van Eyck).
Lo specchio, in questo articolo, vogliamo considerarlo come una metafora di ciò a cui tutti gli esseri umani dovrebbero aspirare, ossia “la ricerca della verità”, una verità intima nella quale riconoscersi e con la quale raccontarsi. Ognuno di noi si sarà domandato almeno una volta nella vita se l’immagine di sé riflessa nello specchio corrispondesse effettivamente all’immagine che intimamente avevamo creato del nostro Io e se ne rispecchiasse quindi la vera essenza. Quale verità è più onorevole se non quella che parla e racconta di noi a noi stessi?
Spesso ciò che siamo non si riflette in uno specchio, a volte capita di aver paura della verità, della nostra verità, la avvertiamo come un’arma che possa distruggerci, ed è questa paura che in qualche modo ha plasmato o plasmerà le scelte di tutt* almeno una volta nella vita. In questo senso invitiamo quindi a valutare il percorso di crescita personale che il singolo svolge quotidianamente con forza e determinazione per riuscire a “guardarsi allo specchio” e percepire un’immagine reale e fedele a ciò che ogni giorno sceglie di essere. Come ogni volta attraverso una sublime immagine vorremmo che voi tutt* possiate domandarvi chi siete.
In questo modo lo specchio può essere esaltazione di quella bellezza che è propria di tutti gli esseri umani; quella che si legge dagli occhi o dall’angolo della bocca mentre si sorride all’amante, quella che diventa manifestazione della bellezza stessa mentre si compie un gesto d’amore. Insomma, la bellezza ha tante sfaccettature e se perdura ancora oggi l’idea che la bellezza sia un canone allora c’è da considerare l’idea che la società non sia del tutto pronta ad aprirsi alla meraviglia del mondo che si cela in ogni angolo.
E cosa dire invece di chi si sente come uno specchio frammentato come un quadro di Picasso dalle mille prospettive e sfaccettature? Attraverso un discorso artistico vorremmo difendere e supportare la diversità che caratterizza l’essere umano che in quanto essere complicato non può e non deve accontentarsi di essere uno e uno soltanto. L’unicità di ognuno sta nell’essere cento volte le cento cose che sente di essere e non una sola immagine riflessa nello specchio, ma molto di più: anima, sentimento, emozioni, dolori, paure, pene, speranze, credenze e molto altro. Vi siete mai chiest* come sarebbe limitante ed innaturale rinchiudere in un solo frammento la molteplicità degli aspetti che compongono l’essere? Dovremmo essere fier* di ciò che siamo a prescindere di quanti siano i frammenti che compongono la nostra identità.
Veniamo adesso allo specchio come oggetto artistico.
Nel caso dei “Coniugi Arnolfini” di Jean Van Eyck, opera già precedentemente citata, vediamo sulla parete di fondo uno specchio convesso nel quale si riflette, con perizia dei dettagli, tutto ciò che compare alle spalle dell’osservatore che in questo caso vive all’interno dell’opera tutt’altro che in maniera passiva, diventando parte di questa al punto da sapere cosa accade davanti a sui occhi ma anche alle sue spalle. In questo caso lo specchio, che assume un ruolo principalmente tecnico, costituisce anche l’emblema della conoscenza e della maestria che l’autore dell’opera dà prova di avere, rappresentando minuziosamente dettagli contenuti in uno spazio così ristretto come lo specchio posto sul fondo del quadro: grazie ad esso non solo vediamo, ma comprendiamo.
Oggi porremo però la nostra attenzione su un’altra opera: il “Narciso” di Caravaggio, dipinto tra il 1597-1599, raffigura in maniera superlativa il cuore tematico del mito Ovidiano di Narciso.
Questa storia ha influenzato il pensiero di numerosi artisti, scultori, pittori e letterati di ogni tipo e ha varcato le soglie della psicoanalisi andando a denominare uno dei disturbi psicologici più conosciuti e più citati (chissà quante volte ingiustamente), il cosiddetto “narcisismo”. Il mito racconta di un meraviglioso giovane, Narciso, la cui bellezza faceva cadere tutte le donne ai suoi piedi, l’ultima delle quali fu Eco: il dolore provocato alla fanciulla da questo amore non corrisposto, ridusse la sua possente voce ad un sottile e fragile suono. La dea della vendetta, Nemesi, decise di punire l’ingrato non propriamente consapevole (come ci insegna la psicologia oggi) facendolo innamorare di sé una volta specchiatosi in uno specchio d’acqua per dissetarsi. Secondo Ovidio egli morirà di dolore mentre, come si legge da fonti greche, la sua morte avverrà per annegamento nel vano tentativo di raggiungere quell’immagine che in realtà era solo una chimera.
Caravaggio elimina qualsiasi elemento di contorno per concentrare tutta l’attenzione sulla scena più importante di tutta la storia ossia quando il giovane Narciso si innamora di sé stesso. Il quadro risulta diviso orizzontalmente in due porzioni: in una sezione, compare il giovane in carne ed ossa, mentre in quella inferiore compare il suo riflesso, ma vi invitiamo ad osservare bene questo riflesso e a notare che l’immagine in realtà non è la stessa bensì l’immagine del pittore stesso, Caravaggio.
Secondo le ipotesi di alcuni storici dell’arte Caravaggio utilizzò se stesso come modello riproducendo proprio la posizione in cui stava dipingendo il quadro, ma è da interpretare anche come la consapevolezza che quel soggetto rappresentato è reale e raffigura qualcosa di reale ossia l’amore per sé stessi ma anche l’incapacità patologica di notarsi, e notare, davvero chi e cosa abbiamo dinanzi a noi. È un monito quindi: si all’amore verso noi stessi ma soprattutto alla prudenza verso quell’immagine riflessa che può causare dolore e morte se rimane solo una chimera.
Narciso, Caravaggio 1597-1599, ROMA, PALAZZO BERNINI.
Ceclia Borrelli
Rosamaria Annunziata
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